La capacità di costruire narrazioni negli anni precedenti all’inizio delle scuole elementari è considerata uno dei migliori predittori delle performance scolastiche, soprattutto per quei bambini considerati a rischio fallimento scolastico ((Paul & Smith, 1993). La capacità di narrare richiede infatti ai bambini competenze cognitive sofisticate. Innanzitutto è necessaria la capacità di produrre farsi concatenate che contribuiscono a costruire un insieme coerente e portatore di significato. Inoltre, la capacità di narrare richiede di saper gestire la dislocazione spaziale e temporale (pensiero astratto), poiché si descrivono eventi non presenti nel qui e nell’ora. Si parla a questo proposito di linguaggio decontestualizzato, considerato cruciale negli apprendimenti scolastici (Feagans, 1983, Snow, 1989; Crais & Lorch,1994).
Il racconto di esperienze personali sembra particolarmente utile per sviluppare il linguaggio decontestualizzato perché ci si riferisce costantemente ad eventi avvenuti nel passato (e quindi non presenti qui e ora), ma anche perché è un’abilità che si può esercitare già a partire dai due anni (Fivush, Gray & Fromhoff, 1991; Miller & Sperry, 1995). Narrare eventi della propria storia personale, inoltre, favorisce le capacità metacognitive, cioè le capacità di rappresentare se stessi, le proprie emozioni e il proprio funzionamento interiore.
Sappiamo che le capacità di costruire narrazioni dipende almeno in parte dal contesto socio-economico (McCabe, 1996). Tuttavia, il fattore cruciale che davvero sembra fare la differenza è l’input parentale, cioè la qualità delle conversazioni tra genitori e bambini.
Alcuni genitori, ad esempio, tendono ad estendere ogni argomento discusso dai bambini, favorendo elaborazioni e connessioni sulla base di domande che sollecitano l’emergere di nuovi dettagli. Altri, invece, tendono a passare velocemente da un argomento all’altro, fare poche domande o domande ripetitive, con pochi riferimenti ad altri eventi. E’ stato dimostrato che questi diversi stili di gestione delle conversazione da parte dei genitori influenzano sia la quantità sia la qualità dei racconti che i bambini producono.
Peterson e colleghi (1998) hanno dimostrato che lavorando sulle capacità degli adulti di sostenere e sollecitare le narrazioni dei bambini è possibile aumentarne la quantità e qualità, intesa come lunghezza, coerenza e quantità di informazioni veicolate. Miglioramento che viene mantenuto anche negli anni successivi all’intervento. Inoltre, i bambini mostrano un aumento significativo dell’ampiezza del loro vocabolario.
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